“La montagna ti parla, basta ascoltarla”: intervista a Enrico Rotondo, il trekker che conquista il Matese passo dopo passo
Enrico Rotondo (IG: _cuteer_), 23 anni, nato a Piedimonte Matese, ha trascorso l’infanzia tra i Monti Trebulani, dove ha sviluppato un legame profondo con la natura e con la montagna.
Da appassionato di sci e arrampicata, oggi studia le tecniche per affrontare i canali invernali misti di ghiaccio e roccia, con l’obiettivo di completare tutti i canali de La Gallinola e, prossimamente, anche quelli del Monte Miletto.
È coordinatore del gruppo escursionistico Relaps Hiking Campania, nato per riportare i giovani sui sentieri e allontanarli dagli schermi, riscoprendo la bellezza autentica del Parco Nazionale del Matese.
Per Enrico, il Matese non è solo un massiccio: è casa, identità, luogo dell’anima. Un gioiello del Sud che, secondo lui, merita di crescere attraverso un turismo sostenibile e consapevole.
Qual è stato il momento o il panorama più emozionante che ha vissuto durante le sue escursioni nel Matese e perché lo considera indimenticabile?
«Uno dei panorami più emozionanti che abbia mai vissuto è stato su La Gallinola. Arrivato in vetta, la vista sulla vallata del lago del Matese era così ampia e limpida da togliere il fiato. È un’immagine che resta dentro, di quelle che ti ricordano perché ami camminare per ore nella neve o sul crinale: perché poi la montagna ti ripaga così.»
Per chi si avvicina per la prima volta al trekking nel Matese, quale sentiero o percorso consiglierebbe come "battesimo" della zona e quali sono le sue caratteristiche uniche?
«Per un primo approccio consiglio il percorso che porta al La Gallinola dal versante di Bocca della Selva: panoramico, ben tracciato e non troppo tecnico, con un dislivello moderato e una vista finale che resta indimenticabile. È un “battesimo” perfetto per capire cosa significa davvero Matese.»
Oltre ai percorsi più noti, esiste un angolo o un sentiero "segreto" del Matese che sente di voler condividere con i lettori di La veranda sul Matese?
«Ci sono angoli meno conosciuti che meriterebbero molto più amore. Uno è Monte Pastonico, quasi dimenticato nonostante il fascino selvaggio. Un altro è il sentiero che porta al Pozzo della Neve, un luogo sospeso nel tempo, che sembra uscito da una storia antica.»
Quali sono le principali sfide o le insidie meno conosciute che un escursionista potrebbe incontrare nel Matese e quali consigli pratici darebbe per affrontarle in sicurezza?
«In inverno il Matese può essere insidioso. I consigli fondamentali sono:
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programmare bene il percorso;
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partire presto (fa buio prima e il rientro può diventare rischioso);
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comunicare a qualcuno l’itinerario;
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valutare meteo e vento, perché con 0°C e vento forte la percezione può scendere rapidamente a –5°C o peggio.»
Come ha visto cambiare il paesaggio e la frequentazione del Matese nel corso degli anni e quale visione ha per il futuro del turismo sostenibile in questa area?
«Da piccolo ricordo nevicate abbondantissime. Oggi la neve è più rara e discontinua. In compenso, negli ultimi due anni ho visto una forte crescita di visitatori: molti giovani, molte famiglie. Per me il futuro del Matese è luminoso, soprattutto se sapremo puntare su un turismo davvero sostenibile, che valorizzi ciò che abbiamo senza snaturarlo.»
Il Matese è noto per la sua bellezza, ma lei si spinge oltre con trek "spettacolari ed estremi". Qual è la principale differenza tra un'escursione tradizionale e una delle sue imprese su vette come Monte Miletto o La Gallinola?
«La differenza sta soprattutto nei chilometri e nel dislivello. Nelle mie uscite più intense affronto percorsi lunghi, con dislivelli importanti e condizioni spesso invernali. Lo scorso 29 novembre, per esempio, ho raggiunto La Gallinola in solitaria percorrendo 16 km e 800 metri di dislivello tutti in neve fresca, trovando nei canali fino a 60 cm di neve.»
Scalare vette come Monte Miletto in condizioni, a volte, impegnative richiede una preparazione fisica e mentale notevole. Ci può descrivere la routine di allenamento o l'approccio mentale che adotta prima di affrontare i percorsi più ardui?
«Nei giorni precedenti valuto ogni rischio possibile per ridurlo: condizioni della neve, temperature, vento. Mi adeguo sempre alla situazione. Per l’allenamento corro 5–7 km al giorno e così faccio un po’ di cardio: la base è arrivare in montagna già preparati.»
Ogni vetta ha il suo carattere. In cosa differiscono le sfide e le soddisfazioni tra la salita a Monte Miletto (la vetta più alta) e quella a Monte La Gallinola? Ci sono percorsi specifici che rendono l'una più tecnica dell'altra?
«Dal punto di vista tecnico le trovo simili. La salita “direttissima” al Miletto dal lago del Matese però regala una soddisfazione particolare: quando arrivi in vetta hai la sensazione di aver conquistato davvero qualcosa di grande. Sono due montagne diverse ma entrambe affascinanti.»
Durante le sue escursioni estreme, ha mai avuto un incontro ravvicinato o vissuto un momento di reale pericolo che le ha insegnato una lezione fondamentale sul rispetto della montagna e della natura selvaggia del Matese?
«Sì, sul Monte Mutria, l’8 dicembre 2024. Arrivato in vetta, si è scatenata una bufera improvvisa di neve e vento. Per fortuna avevo tutta l’attrezzatura necessaria per proteggermi e scendere in sicurezza. È stata una lezione fondamentale: la montagna non perdona chi la sottovaluta.»
Oltre all'adrenalina e alla sfida fisica, cosa la spinge a esplorare i versanti meno battuti e più impervi del massiccio? C'è un senso di scoperta o un legame spirituale che si rafforza in quei momenti di isolamento?
«La tranquillità. Il sapere che in quel momento ci sono solo io e la montagna. La sensazione di essere il primo a salire una vetta in veste invernale. Guardare le mie impronte nella neve, una dopo l’altra, fino alla cima della Gallinola… È un legame spirituale. Ti senti parte della montagna e impari ad ascoltarla. A volte ti dice di andare avanti, altre volte di tornare indietro: e devi saper dire di no, perché la vita vale più della vetta.»
Per i lettori di La veranda sul Matese che si distinguono tra escursionisti della domenica ed escursionisti più e cercano il "salto di qualità", quali sono i tre consigli d'oro che darebbe prima di cimentarsi in trekking estremi sulle vette del Matese?
«Direi tre cose:
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Andare con qualcuno esperto, che conosce bene le vette del Matese.
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Avere attrezzatura di qualità e abbigliamento adeguato, anche d’estate: un piumino nello zaino può salvarti.
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Evitare la solitaria, se non si ha una vera conoscenza della montagna e dei suoi comportamenti.»
Campitello Matese e il Parco Nazionale del Matese sono vivibili in tutte le stagioni dell'anno.
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